Proverbi e modi dire sono consolidati in culture, storie popolari, usanze e testimonianze; personalmente ritengo che sia importante conoscere le nostre radici, per comprendere al meglio il linguaggio che quotidianamente utilizziamo.
Perciò, vi voglio raccontare la storia di questa espressione di uso comune per la quale non apprezzo affatto gesta e vicissitudini; tuttavia, è pur sempre la nostra origine. Pronti? Tagliamo la testa al toro!
Il Giovedì Grasso del carnevale veneziano, nella splendida Piazza San Marco, venivano celebrate le vittorie della Serenissima.
Dopo l’allestimento di un macchinario in legno adibito per i fuochi d’artificio, fabbri e macellai trascinavano in corteo tre buoi preparati a festa con ghirlande, al cospetto del Doge. Quest’ ultimo quindi, tra urla ed applausi della gente, tagliava la testa ai poveri animali.
La vicenda sopra esposta trae origine nel lontano 1162, anno in cui il patriarca di Aquileia mirava conquistare Grado, proprietà della Serenissima.
Il Doge, quindi, dopo aver sbaragliato l’esercito nemico, imprigionò lo stesso patriarca, 12 prelati e 12 suoi alleati. Il riscatto del rapimento consisteva in 12 pani (per la liberazione dei prelati), 12 maiali (per quella degli alleati) ed un toro (per il patriarca). Il povero bovino veniva perciò sacrificato in piazza per simboleggiare il termine della diatriba.
Con il passare degli anni, è rimasta tradizione la sola decapitazione di tre tori anziché uno.
Proprio da queste vicende, nasce il motto proverbiale “Tagliamo la testa al toro”, ovvero terminare la questione, prendere una decisione drastica.
Fortunatamente, ad oggi, questa brutale pratica è stata abbandonata; sopravvive, infatti, il modo di dire relativo e non questo gesto feroce. Nelle odierne sfilate dei carri carnevaleschi a Venezia, compare l’imponente figura di cartapesta di questo animale a ricordarne la vicenda.